All'hotel Kubitschek Plaza tutto, dall'insegna al ricamo sull'accappatoio passando per le foto appese ai muri, parla del presidente che decise di costruire la nuova capitale, impresa prevista dalla Costituzione, ma che solo lui ebbe il fegato di compiere. Juscelino Kubitshek, "JK", era medico, figlio d'una immigrata cecoslovacca zigana. Il suo nome slavo da scioglilingua e la sua faccia da attore latinoamericano compaiono un po' ovunque qui. Rimasto orfano di padre da bambino, e arrivato al vertice del potere, doveva nutrire parecchie speranze sul futuro del Brasile.
Il Parque da Cidade, 4,2 milioni di metri quadri, è uno dei pochi luoghi della capitale non dedicato a "JK". In compenso è noto come parco Sarah Kubitschek, in memoria della moglie. È l'unico posto all'aperto dove capita di vedere molta gente, a parte le fermate degli autobus. Brasilia fa più di due milioni di abitanti, ma non te ne accorgi. Gli spazi sono talmente vasti. Non te la sentiresti di affrontarli a piedi. Al parco è pieno di brasiliensi (gli abitanti della capitale) che corrono, vanno in bici, sui pattini e si rinfrescano bevendo il succo del cocco e mangiandone poi la polpa con il guscio spaccato. Anche questo frutto, nel suo funzionalismo, sembra una perfetta invenzione modernista come le architetture create da Oscar Niemeyer che oggi ha 103 anni e vive a Rio.

Fa caldo e ti verrebbe voglia di buttarti nel lago Paranoá in riva al quale si trova il parco. Il lago è attraversato da uno spettacolare ponte a tre arcate che sembrano il tragitto d'un sasso che rimbalza sull'acqua. Intitolato a "JK" e progettato da Alexandre Chan, è stato inaugurato nel 2002. Il 25 per cento del Plano piloto, il piano regolatore, è rimasto sulla carta. La capitale, patrimonio dell'Umanità dal 1987, è ancora un work in progress progressista a cinquant'anni dall'inaugurazione, avvenuta il 21 aprile del 1960, dopo 41 mesi di lavori, i sacrifici epici dei candangos — la manovalanza accorsa da tutto il Brasile — e le polemiche di chi voleva che la sede della politica federale restasse Rio.

Dalla regione metropolitana carioca viene Aline César Jesus, 27 anni, minuta nonostante la passione per il cibo, una gran testa di riccioli biondi. Come tanti qui è arrivata per lavoro. Si occupa di marketing in un'agenzia statale. «La vita è molto diversa rispetto a Rio», racconta. «Brasilia è stata costruita nel periodo del boom automobilistico. In mezz'ora sei dappertutto, altro che il traffico carioca. Il lato negativo è che ti muovi solo in macchina. La qualità della vita è buona. C'è gente che arriva da tutto il Paese e si sente. Ci sono locali dove ballare la samba di Rio o il forró del Nord Est. Puoi mangiare il churrasco, cioè la cucina gaucha del Sud a base di carne, o il queijo coalho, il formaggio alla brace del Nord Est».

L'Igreja de Nossa Senhora de Fátima, chiamata igrejinha (chiesetta) e costruita come ex voto durante la malattia della figlia di "JK", è uno dei primi edifici costruiti e uno dei punti di riferimento della città. Le decorazioni sono di Athos Bulcão che col paesaggista Roberto Burle Marx e l'urbanista Lúcio Costa compone il resto della squadra che creò Brasilia. Nel silenzio del primo pomeriggio puoi trovare una dimensione raccolta; sulle panche ci sono alcuni poveri che dormono. Non abitano nella città con il più alto livello di sviluppo umano del Brasile, ma nei centri urbani satelliti. Alle classi meno abbienti l'utopismo progressista del duo Kubitschek-Niemeyer non ha riservato case popolari nella convinzione che meritassero gli stessi edifici dei più fortunati. La coppia si era già cimentata a Belo Horizonte, dove la chiesa di San Francesco, con una raffigurazione sacra pauperista, dovette per anni incassare il rifiuto della consacrazione da parte delle autorità ecclesiastiche. Anche la criminalità, minore che nel resto del Brasile, viene dalla cintura urbana.

Kubitschek amava dire che fondò Brasilia nel medio de la nada, al centro del nulla, ma sarebbe più corretto dire nel "nulla del centro": la savana interna d'un Brasile da sempre abbarbicato sull'Oceano. Decise di emanciparsi dalla coloniale Rio e spostare il baricentro in una posizione non attaccabile dal mare, come si progettava di fare dai tempi in cui la corte portoghese scappò a Rio per sottrarsi alle rivoluzioni e a Napoleone. La scelta di "JK" rilanciò l'economia con grandi opere e la sincronizzò al boom postbellico mondiale, debiti e inflazione compresi. Poi venne la dittatura, l'esilio parigino di Niemeyer, la morte di "JK" in un sospetto incidente stradale nel 1976. Un lascito del periodo è il complesso del Setor Militar Urbano, con l'impressionante arco d'ingresso a forma d'elsa di sciabola.

Nella Brasilia di Lula, il cui mandato scade a ottobre, si respira di nuovo aria di progresso e si parla di crescita. Vicino alla piazza dei Tre Poteri si è scatenata una comitiva in gita, con il palazzo del Congresso, una delle architetture simbolo della città, a fare da sfondo a canti e balli. Un altro luogo dove respiri il Brasile è l'UnB, l'università. Quando ci metto piede c'è uno sciopero di docenti e, tra i giardini tropicali che hanno invaso il cemento armato, sono sparsi gruppi di ragazzi che parlano, riposano, suonano. Più elitaria la serata al cinema, dove è pieno di gente per la vernice d'un ciclo dedicato ai registi italiani. L'Italia fa parte del mito fondante della capitale: sulla porta del Santuário Dom Bosco è raffigurato il sogno che fece il missionario nel 1883. Un bellissimo giovane, Luigi Colle, figlio d'un conte e morto l'anno precedente, gli fece esplorare a volo d'angelo tutto il Sud America fino alla Patagonia, come neanche Bruce Chatwin! Tra il 19° e il 20° parallelo vide scorrere il latte e il miele vicino a un lago. La stessa posizione di Brasilia. Il lago non c'era ancora, ma lo crearono. Le vetrate blu notte del santuario danno un effetto onirico e molti sono i brasiliani convinti della profezia, per primi quelli che hanno reso omaggio all'urna contenente una "reliquia insigne" del patrono che per il bicentenario della nascita (2015) sta facendo il giro dei cinque continenti, e non poteva che passare di qui.